Ma esiste l'italian style in pubblicità? Individuare una serie di elementi che connotino l'advertising nazionale è possibile come è possibile trovare delle emergenze dominanti nel fashion design, dove convivono le nebbie milanesi e la nostalgia degli anni Trenta di Armani con le selvagge provocazioni esotiche di Cavalli; dove gli anni Sessanta della Sicilia di Dolce & Gabbana convivono con la purezza architettonica di Ferrè. La nostra unità è la nostra dismogeneità, il nostro stile è la mancanza di uno stile unico. Per traslato, potremmo evocare un altro parallelo interessante: quello dell'Italian Design. In questo siamo passati dal bolidismo di Isoa Ghini, all'etnico di Navone, al revival di Rossi e Meda, al minimalismo di Silvestrin e Magistretti fino al Nuovo Bel Design di Citterio e Cibic, solo per citare alcuni nomi e movimenti. No. La risposta è che l'individualismo di matrice umanistica che ci caratterizza non ci consente di essere riconducibili a stilemi comunicativi omogenei. Per dire. Mentre i cartoonist americani sono riconducibili a una scuola, quelli italiani sono figli del caso ed emergono per singole differenze. Sensuali come Manara, romantici come Pratt, cinici come Atlan, dannati come Pazienza, impalpabili come Crepax. E da noi le differenze sono anche linguistiche. Per dirla con Enzo Biagi: "In Italia quello che al nord si chiama uccello al sud si chiama pesce". (da "Note")
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18 ottobre 2010
Ma esiste l'italian style in pubblicità?
Ciò che mi piace del blog è la possibilità di condividere anche i pensieri già scritti nei miei libri, per poter, in questo modo, avere un feedback e un confronto con tutti voi.
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Sei un grande Lorenzo!
RispondiEliminaHai una sensibilità e una capacità di leggere la realtà che pochi hanno.
siamo un popolo di creativi, e dal nostro caos nasce la nostra creatività, fatta di stili diversi ma con un gusto estetico ineguagliabile.
Un abbraccio
Federica M.
Lorenzo ma non si trova più note?!?!
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